Ho deciso di dedicare questo post ad una persona che, con ogni probabilità, non lo leggerà mai.
Ad una persona che, nel bene e nel male, ha influito sulla mia vita e sulle mie scelte senza mai calpestare i miei pensieri, i miei sogni, le mie ambizioni, senza mai prevaricarmi o imporsi in maniera autoritaria.
Ad una persona che mi ha lasciata libera di sbagliare, di sbattere il muso, a volte anche forte, consentendomi di imparare in autonomia cosa fosse giusto e cosa sbagliato, ma senza mai lasciare che mi facessi davvero male, senza mai aspettare che fosse troppo tardi per correggere la rotta.
Credo si sia capito: sto parlando di mia mamma.
Nata il 26 luglio 1953, prematura, con due mesi di anticipo sulla tabella di marcia. Una roba che spaventa oggi. Figurarsi 62 anni fa. Praticamente una miracolata. Pesava due chili scarsi, vestita. Aveva già deciso, prima ancora di nascere, che la sua missione era rompere i coglioni. E lo ha fatto annullando le vacanze dei miei nonni per parto inaspettato.
Leone nello zodiaco e anche nella vita.
Una vita che, suo malgrado, l’ha messa a dura prova sin da piccola: a 13 anni si è ritrovata a dover fare i conti con la perdita del papà e, come se il carico non fosse già sufficientemente pesante, a 30 anche quella della mamma.
Eh già, io non ho mai conosciuto i miei nonni materni. Ma mi piace immaginarli come avrei voluto che fossero, e faccio in modo che queste fantasie mi bastino a colmare questa mancanza alla quale non posso mettere alcuna pezza.
Una cosa che non ho mai accettato fino in fondo e che ancora oggi, che sono mamma e sono rientrata a tempo pieno nel mondo del lavoro, non riesco a comprendere fino in fondo, è la profonda dedizione che mia mamma ha sempre riservato al proprio lavoro: fedelissima segretaria di direzione, per quarantuno anni ha “servito” con professionalità, rispetto e benevolenza sempre lo stesso datore di lavoro, dedicando anima e corpo a quella che, per lei, era una seconda famiglia.
C’era da saltare il pranzo? Nessun problema. C’era da stare in ufficio fino a sera? Nessun problema. C’era da disdire l’appuntamento personale fissato da tempo per un imprevisto in ufficio? Nessun problema.
Io non lo avrei mai fatto. Io non lo farei mai. Io non lo farò mai.
È proprio una roba che non concepisco, forse perché non ho modo di poter riservare altrettanta dedizione nel mio ambito lavorativo. O forse perché col carattere che mi ritrovo sarei più propensa a versare plutonio nei bicchieri, piuttosto che servire caffè in riunione.
Ma la ammiro.
La ammiro perché, nonostante tutto, era capace di arrivare a casa alle nove di sera e non farci mancare nulla, anche fosse solo un sorriso difficile da mostrare perché la giornata era andata storta. Eppure te lo faceva.
Io e mia mamma siamo come cane e gatto: ci scanniamo a parole, anche urlando, finché una delle due non la spunta, ma non esiste volta in cui tutto non svanisca nel giro di cinque minuti.
Io la prendo per il culo perché sono sarcastica. Lei si incazza come una iena perché è permalosa e la parola “sarcasmo”, nel suo vocabolario, è cancellata con lo sbianchetto insieme a “ironia” e “autocritica”.
Quando le ho detto “Mamma, sono incinta”, mi ha risposto “Ma sei scema?!”. La sua testa bacata aveva deciso che fosse presto, che “era meglio aspettare ancora un annetto o due”, e ancora non ho capito il perché. Dopo tre giorni aveva già messo giù la lista dei negozi dove andare a scegliere la camicia da notte, le ciabatte e le calze per l’ospedale.
Tanto è stata dedita al lavoro quanto è stata capace, il giorno stesso della notizia della mia gravidanza, di annunciare le proprie dimissioni. Era finalmente giunto il momento di cambiare lavoro: diventare nonna. A quanto pare, non aspettava altro.
E devo dire che ha superato di gran lunga le mie aspettative.
Non fraintendetemi. Non è che abbia poca stima per mia mamma, anzi!
Ma è una terrorista di prima categoria.
“Non scendere le scale di corsa perché se scivoli poi cadi e muori”.
“Metti la freccia alle rotonde perché se non capiscono che stai girando ti sfondano la portiera”.
“Non fare la doccia dopo mangiato perché ti viene una congestione. E poi muori”.
“Non camminare con le forbici in mano perché se inciampi ti accoltelli”.
“Non uscire di casa con le mutande bucate perché se ti senti male e finisci in ospedale devi essere a posto”.
Giuro.
Dunque, capirete che il mio timore più grande era che trasformasse mio figlio in un deficiente. In uno che a un anno deve giocare ancora coi cubotti sofficiosi perché i giochi di plastica sono duri e se te li tiri in faccia ti viene una commozione cerebrale. E muori.
Invece oggi, a pranzo, sono entrata in casa e stava dando da mangiare al Nic gli spaghetti.
Poi mi fa morire perché non ascolta una minchia. Ti chiede “che frutta devo dare oggi al Nic?” Ed io le rispondo la pera. E lei “no dai facciamo il kiwi che l’ho preso stamattina ed è buonissimo”. La domanda sorge spontanea: cosa cazzo mi chiedi a fare le cose se poi tanto decidi tu?!
Ecco. Mia mamma mi piace perché è enigmatica. Dopo 28 anni non sono ancora riuscita ad inquadrarla bene. È tutto e il contrario di tutto.
La riempiresti di baci e la picchieresti contemporaneamente.
Ma non puoi non amarla.
Sarebbe come chiedere al Piccolo Principe di non amare la sua rosa.
Sarebbe come chiedere alla Nutella di smetterla di essere così buona sulle fette biscottate.
Insomma, non si può.
E le dedico questo post perché mi è impossibile dirle tutto a voce: alla seconda riga scatterebbe il vaff…… d’ordinanza.
Però, cara mamma, credimi. Te lo scrivo, affinché tu possa leggerlo se mai dovessi finalmente convincerti che internet non è pericoloso e che si può navigare serenamente senza rischiare che l’Uomo Nero rintracci il nostro indirizzo e venga a citofonarci.
A modo mio, ma ti amo con tutto il cuore.
Tua figlia