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E comunque l’estinzione ce la meritiamo tutta

Martedì 30 maggio, ore 19.00: mentre io e mio marito, insieme a Niccolò, stiamo festeggiando a casa il nostro anniversario di matrimonio davanti ad un’imbarazzante cena a base di roba scondita, mio papà viene investito da un’auto.

Non posso entrare nel merito, per ovvie ragioni, ma rimane il fatto che mio papà sta lentamente attraversando la strada tra le auto ferme in coda ed il ragazzo al volante dell’auto riparte senza vederlo, finché non se lo ritrova sdraiato sul cofano e, inchiodando, lo fa rotolare violentemente sull’asfalto.

Non posso nemmeno fare supposizioni sul perché tutto ciò sia accaduto, ma l’ovvietà della situazione è lampante: una distrazione.

Una distrazione che è costata a mio papà parecchi danni fisici e dei dolori di cui voglio dimenticare quanto prima le smorfie sul suo volto contratto.

E ok, questo è solo l’incipit di un post nel quale voglio darvi velatamente fastidio facendovi notare che quando siete – anzi, siamo, perché anche io non sono immune alle imprudenze, seppur di minima entità – al volante, spesso e volentieri, siete una manica di deficienti che si meriterebbero cinquanta scudisciate di cilicio dritte e secche sul culo.

In poco meno delle ultime ventiquattr’ore i miei bulbi oculari hanno metabolizzato una compilation di deficienti che ho ritenuto dovessero entrare di diritto in questo post, meritandosi la nomination ufficiale a candidati per l’ambitissimo premio “somaro a quattro ruote”: per il vincitore, in palio, c’è un biglietto di sola andata per l’estinzione dal pianeta.

Domenica sera, Mariano Comense (ci tengo a sottolineare che tutti i prestigiosi candidati sono stati rilevanti nella ridente cittadina in cui ho il privilegio di soggiornare), rotonda dietro casa mia: bambino di circa un anno al volante di una Kia Sportage in corsa, in braccio al nonno che si diverte come un pollo. Anzi, un asino. Mi domando se i genitori ne siano all’oscuro o se lo sappiano e ne siano dunque complici. L’apoteosi della genialità, ancora adesso stento a credere a ciò che ho visto, tanto è assurdo e totalmente inconcepibile.

Lunedì mattina, fuori dall’asilo nido di Niccolò: esemplare di bambino in posizione eretta (giuro, in piedi come un soldatino) sul sedile anteriore dell’auto della mamma, ovviamente senza seggiolino o cinture di sicurezza e pronto a  gareggiare per il salto dal finestrino alla prima frenata decisa.

Sempre lunedì mattina, poco più avanti: virile uomo di mezza età, giocatore della roulette russa dei semafori, ne falcia uno ormai rosso da un pezzo. Arrivo io che, fresca come una rosa e totalmente ignara, inchiodo un istante prima di entrargli nella portiera (tornare al punto sopra per figurarsi, al posto della mia auto, quella della mamma-genio: figurarsi anche il bambino catapultato fuori dal finestrino e sbriciolato sull’asfalto). Suono poco discretamente il clacson, limitandomi ad una sottile imprecazione fuori dal mio repertorio e, di contro, mi ritrovo con un mastodontico dito medio puntato in faccia e corredato da elegantissimi complimenti che credo siano stati inseriti nell’ultimo numero del Galateo per principianti.

Lunedì pomeriggio, sul breve tragitto che mi porta da casa mia a quella dei miei genitori: singolare quartetto (sì, avete letto bene, quartetto) di bambini verosimilmente epilettici che, sui sedili posteriori di un’auto vagamente simile ad una lattina di Simmenthal, si dimenano in una sorta di danza tribale sulle note a palla di Despacito. Ho visto qualcosa di abbastanza somigliante il mese scorso, al Parco delle Cornelle, nel recinto delle scimmie. Solo che loro (le scimmie) sono fatte per oscillare da un albero all’altro e dunque non fanno nulla di anomalo, mentre i bambini dovrebbero essere educati a stare seduti in auto, correttamente assicurati ad un seggiolino o legati con le cinture di sicurezza.

Poco più avanti ho il singolare privilegio di imbattermi in un esemplare di baldo giovane alla soglia della maturità che pare stia guidando un modello di auto a banana: continua a pendere al centro della carreggiata per poi sollevare lo sguardo dal cellulare, tra una parola digitata ed un’altra, e correggere la traiettoria giusto in tempo limite per evitare di impattare le auto che procedono in senso contrario o eventuali pedoni, ciclisti, passeggini, cani volanti e unicorni.

Torno a casa mia con le braccia molli per la spiacevole rassegnazione, guardo Niccolò e penso che un bambino, qualsiasi bambino, non se li merita proprio dei genitori deficienti e disposti a metterne a repentaglio la vita per colpa di una profonda ignoranza ed una disinformazione che rasenta il livello dei Paesi più sottosviluppati del Terzo Mondo.

Così come penso che nessuno si meriti di finire vittima di totali incoscienti che, alla guida imprudente delle proprie auto, mettono in pericolo la vita degli altri (bambini, padri di famiglia, nonni o chicchessia) con una superficialità che mi lascia attonita e sconcertata.

Guardo Niccolò e poi penso a mio papà che per un po’ di tempo non potrà fare il nonno come vorrebbe, “solo” per colpa di una banale distrazione.

Poi guardo fuori dalla finestra del mio soggiorno e sul terrazzino vedo una gigantesca gomma da masticare sputata da qualche mio insulso ed inetto vicino di casa stronzo, cafone e maleducato.

Eh niente, non so cosa dire: l’estinzione, cari miei, ce la meritiamo tutta.

2 commenti su “E comunque l’estinzione ce la meritiamo tutta”

  1. Alla maleducazione non c’è mai fine.
    Purtroppo.
    Non vuol dire perciò rassegnarsi.
    Mi spiace tantissimo per tuo padre, in bocca al lupo perché si rimetta in fretta… 🤗

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