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E’ davvero così sbagliato sognare ad occhi aperti?

Ho deciso che voglio raccontarvi qualcosa in più su di me e sulla mia famiglia.

Come se le diciassettemila foto che posto sui social non bastassero a condividere la mia quotidianità.

No, non bastano.

Le foto raccontano attimi, descrivono situazioni, fanno da palcoscenico ad un teatro che poi, però, ha ben più da raccontare dietro le quinte che non sul parquet della scenografia visibile al pubblico.

Se pubblico una foto del Nic che dorme, immortalo un attimo di vita magico ed emozionante. Ma il dietro le quinte potrebbe raccontare di una estenuante ora di duello belligerante fatto di vani tentativi di metterlo a letto e di pianti disperati.

Della serie: non è tutto oro quel che luccica.

Della serie: impariamo a non giudicare un libro dalla copertina.

Della serie: l’abito non fa il monaco.

Della serie che potrei continuare fino a domani mattina a contestualizzare proverbi e modi di dire che ben si sposano con il messaggio che vorrei dare.

Comunque, vado avanti se no mi perdo via.

Non sono nata con la camicia ma nemmeno in braghe di tela.

Arrivo dalla classica famiglia tradizionale brianzola dedita a lavoro e sacrifici con il principale scopo di lasciare in mano qualcosa di concreto ai propri figli.

Mio padre lavora ancora, nonostante l’età e le riforme pensionistiche abbiano stabilito da un bel pezzo che quando ne avrà voglia potrà starsene a casa a fare il nonno e lasciare che l’azienda la mandi avanti qualcun altro.

Mia madre, nonostante la possibilità di poter andare in pensione già cinque anni fa, ha deciso di prenderne atto solo quando è stato il momento di fare la nonna, un anno fa.

Mio fratello lavora da quando ha sedici anni: bravo a scuola ma testardo come un somaro (so che leggi il mio blog, ma sto solo dicendo la verità orsacchiottone mio!), si è rimboccato le maniche e sono ormai più di dieci anni che si spacca la schiena per un lavoro di tutto rispetto che gli ha consentito di non rinunciare a nulla di ciò che desiderava nella sua vita.

Non contento, si è messo in società con due ragazzi per aprire una pizzeria d’asporto che, peraltro, apre proprio stasera: in quel locale ci ha messo sudore, soldi e fatica per avere in cambio la soddisfazione di poter dire di aver camminato ancora una volta sulle proprie gambe.

Io faccio un comune lavoro da impiegata, statico ma dinamico allo stesso tempo, soddisfacente e snervante a giorni alterni, divertente nei giorni pari e noioso in quelli dispari; otto ore, con l’eventuale aggiunta di straordinari, tutti i giorni dal lunedì al venerdì.

Mio marito fa l’agente di commercio: percorre circa quattrocento chilometri al giorno in auto, zigzagando per la Lombardia, per incontrare simpatici clienti che gli offrono un caffè, amorevoli bastardi che gli sbattono la porta in faccia, assistenti sbadate che hanno dimenticato di segnare l’appuntamento sull’agenda del titolare.

Quello di mio marito è un lavoraccio, credetemi.

Però a qualcuno potrebbe venire da dire: “Bello, beato te che sei in giro tutto il giorno mentre io me ne sto chiuso in ufficio senza aria condizionata!”

L’erba del vicino è sempre più verde, non dimenticatelo mai.

Però io lo vedo, mio marito, che alle nove e mezza di sera dorme già profondamente sul divano.

Lo vedo, mio marito, esausto dopo una giornata fatta di appuntamenti mancati e clienti irritati ed irritanti.

Lo vedo, mio marito, che tortura la calcolatrice per tirare le somme e vedere se la giornata è andata bene o male.

Lo vedo, mio marito, che si domanda se a fine mese lo stipendio sarà soddisfacente oppure no.

Lo vedo, lo vediamo io e la mia famiglia.

E nessun altro.

Non quello che dice “Beato te!”.

“Ah, beato te, che hai lo stipendio fisso!”, potrebbe benissimo replicare mio marito.

Comunque, vado avanti a raccontare. Spero di non annoiarvi.

Io e marito abbiamo una casa, che però in realtà non è nostra ma del signore che l’ha comprata e che ce l’ha data in affitto.

Abbiamo una macchina nuova fiammante, che paghiamo tutti i mesi e che speriamo di finire di pagare prima che salti per aria per i troppi chilometri percorsi.

Abbiamo la tv a schermo piatto, la Playstation 4, l’Adsl, i mobili Ikea e il divano Mondo Convenienza che di conveniente ha solo le materie prime con cui è stato realizzato, per cui sono mesi che dobbiamo cambiarlo perché è mezzo sfondato.

Anzi, dovremmo cambiarlo.

Uso il condizionale.

Perché nel frattempo sono arrivate le solite bollette del gas, dell’energia elettrica, dei telefoni cellulari, l’estratto conto della carta di credito, la fattura dell’affitto, la rata dell’auto e la multa per il muretto sfondato da mio marito sabato scorso.

Siamo una famiglia qualunque, con tutte le preoccupazioni che affliggono qualsiasi famiglia qualunque.

Ma abbiamo una fortuna: quella di credere in noi stessi e nelle nostre potenzialità.

E allora mio marito la mattina esce di casa con la voglia di spaccare il mondo e di scrivere più ordini possibili.

Ed io esco di casa con la voglia di continuare a guadagnarmi il mio prezioso stipendio fisso e la speranza che però anche l’altro mio lavoro, quello divertente di blogger, mi venga riconosciuto come tale.

Sono fiera del lavoro che faccio ma sono anche fiera della piega che sta prendendo il mio blog.

Io, con il mio blog, un domani, spero di poterci pagare anche la bolletta del gas e le cazzate che combina mio marito il sabato pomeriggio.

E dovrei sentirmi in colpa per questo?

Assolutamente no.

Sognare fa bene all’umore.

Sognare è gratis.

E, a furia di sognare, a volte i sogni si avverano.

Categorie: Diario
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