Non è mai facile parlare di qualcosa che ci ha profondamente feriti.
Non è mai facile parlare di qualcosa di brutto che ci ha visti protagonisti.
Non è mai facile parlare di se stessi su un blog, su una pagina pubblica, esponendosi e mettendosi a nudo.
Ma è doveroso.
Soprattutto se si parla di un argomento delicato come il bullismo.
Io, Silvia Cattaneo, sono stata vittima di bullismo.
Un bullismo che nulla ha a che vedere con la violenza fisica, orribile moda tra i ragazzini di oggi.
Ma una forma di bullismo ancora più meschina ed insidiosa: il bullismo verbale.
Quello che ti si insinua come un tarlo nel cervello.
Quello che ti tormenta la notte.
Quello che ti mette a disagio, ti fa sentire inadeguata, brutta, grassa, goffa, inutile ed incapace.
Quello che ti fa litigare con lo specchio, quando ti guardi e non riesci a capire cosa diamine ci sia di tanto sbagliato in te da renderti un’emarginata, perché tu proprio non riesci a capirlo.
Quello che ti fa piangere di nascosto, perché ti vergogni a far vedere quanto tu ti senta umiliata e non vuoi dare la soddisfazione di far credere che ti stiano schiacciando, anche se in realtà è proprio quello che sta succedendo.
Quello che ti fa arrivare ad odiare te stessa e a provare rancore verso i tuoi genitori, perché con tutte le caratteristiche con le quali potevano metterti al mondo, ti hanno fatta sbagliata, almeno secondo qualcuno.
Quello che nessuno vede, che nessuno percepisce.
Nessuno, all’infuori di te.
Credo di essere sempre stata una bambina (prima) ed una ragazzina (dopo) perfettamente nella norma: fisicamente proporzionata, con la goffaggine tipica dell’infanzia (prima) e quelle “sgraziature” caratteristiche dell’adolescenza (dopo).
Eppure, per qualcuno, non andavo mai bene.
Il problema è che, pur facendomi gli affaracci miei e non dando fastidio a nessuno, in qualche modo attiravo, puntualmente, l’attenzione di quelle due o tre ragazzine che capeggiavano il resto della combriccola.
Ed era la fine.
Di solito, la più popolare è sempre anche la più scema, è proprio tipo una legge universale, come la Legge di Murphy.
E, scema lei, diventano sceme anche tutte le altre.
La più scema decide che tu sei grassa, e tutte le sceme decidono all’unanimità che tu sei effettivamente grassa.
E la cosa assurda è che te lo gridano dietro anche quelle che pesano ottanta chili a sei anni.
Te lo rinfaccia anche chi dovrebbe (in realtà no, ma passatemi lo sfogo) essere al posto tuo.
Una roba assurda.
E non sai come uscirne.
La cattiveria, soprattutto a titolo gratuito, è qualcosa di veramente orribile.
È qualcosa che ti resta dentro, che ti lascia il segno, che ti divora come un cancro e con la quale farai i conti per tutta la vita.
È qualcosa che, inconsapevolmente ma inevitabilmente, influirà sul tuo modo di essere, sul tuo modo di porti nei confronti degli altri, sul tuo modo di interagire con il resto del mondo e, soprattutto, influirà molto sulla tua fiducia verso il prossimo.
Credo di essere stata sottoposta, nel corso degli anni, alle più svariate forme di umiliazione: dalle comuni e scontate prese in giro sull’aspetto fisico, alle offese insensate in risposta a qualsiasi cosa io dicessi, fino ad arrivare al danneggiamento materiale di eventuali oggetti di appartenenza mia o della mia famiglia.
Vessazioni senza fine.
Un buco nero.
E sono profondamente convinta che tutti coloro che hanno fatto di me il loro oggetto di scherno, in questo momento facciano parte del mio folto seguito sul blog, su Instagram e sulla mia pagina Facebook. Anzi, lo so per certo, perché li vedo.
Io, in questo momento, con il coltello dalla parte del manico, potrei fare di loro dei fantocci da disintegrare, scrivendo nomi e cognomi e lasciando che la vergogna cali sulle loro teste.
Ma non lo faccio, per due motivi: il primo, e fondamentale, perché mi reputo estremamente più intelligente di chi si diverte a giocare con i sentimenti altrui e, secondo, perché sono nettamente convinta che avranno comunque modo di vergognarsi ed arrossire leggendo questo post, sapendo perfettamente che mi sto riferendo a loro.
Sì, esimia testa di cazzo, ce l’ho con te.
No, non mi confondo, ce l’ho proprio con te.
E con te.
E anche con te.
Mi ricorderò di voi, delle vostre facce di culo e delle vostre vocine stridule finchè camperò.
E non vi perdonerò. Mai!
Ma vi ringrazio.
Perché mi avete resa la persona che sono.
Perché avete temprato il mio carattere, mi avete rafforzata, avete indurito la mia corazza ed ammorbidito il mio cuore rendendolo pregno di amore verso chi se lo merita.
Ad ogni vostro schiaffo verbale, è vero, cadevo.
Lo ammetto, mi avete profondamente ferita.
Ma mi rialzavo, pronta ad incassare il successivo.
Come su un ring.
E, ora che sono una persona adulta, un’innamoratissima moglie, un’emozionatissima mamma ed una persona nuova, vi dico grazie.
Grazie, perché mentre voi eravate impegnati a distruggere la mia autostima, io ero doppiamente impegnata a ricostruirmela.
Per cui, mentre voi ora arrancate impantanati in una vita mediocre dalla quale non sapete come emergere, io mi godo la mia felicità.
E non c’è bullo che tenga.
La vera felicità, cari miei, non c’è bullo che sia in grado d’intaccarla.
È più difficile da estirpare dell’erba cattiva.
Per l’erba cattiva, invece, per quanto estesa ed ostica possa essere, basta giusto un po’ di diserbante.